Note biografiche

di Adriano Giacometto

Stanno piano piano riemergendo da una inspiegabile coltre di oblio e di indifferenza durata ben più di un secolo, le vicende artistiche di quello che possiamo a buon diritto ritenere come il più importante organaro piemontese operante a cavallo tra '700 e '800: Giovanni Bruna.

E con lui le storie di una intera famiglia: tre generazioni che operarono negli anni compresi tra il 1772 e il 1853. La riscoperta della famiglia Bruna è cosa recente: neppure una citazione dal Moretti nel suo "L'organo i-taliano" (1973), le prime notizie vengono da don Lebole e risalgono alla metà degli anni '70; il Galazzo nel 1980 inventaria 18 strumenti, nel 1990 un centinaio. Chi scrive nel 1997 nel "Regesto degli organi costruiti dalla famiglia Bruna" cataloga 142 lavori; allo stato attuale (gennaio 2003) i lavori censiti sono ben 161 di cui 104 sono le nuove collocazioni.

Note biografiche

Giovanni Battista Bruna nasce a Miagliano (Bi) il 26 giugno 1753, figlio primogenito di Pietro Antonio Bru-na e Caterina Bagnasacco. Giovanissimo, inizia a frequentare il laboratorio dei Ramasco, presso il quale padre e zio prestano la loro opera da almeno un ventennio.
Con i Ramasco ha modo di viaggiare e di venire a contatto con realtà organarie di diversa matrice assai frequenti a quell'epoca nelle terre piemontesi, da sempre zona di confine e sovente terra di contesa e di transito.
Al seguito dei Ramasco opera costantemente in Canavese stringendo importanti amicizie, visita la Valle d'Aosta, la Savoia, il torinese, il Monferrato. Proprio il contatto con strumenti "lontani" dalla tradizione or-ganaria piemontese - come l'organo di scuola iberica dell'Abbazia di Fruttuaria o l'Hermans dei Santi Martiri a Torino - contribuiranno in maniera indelebile alla formazione del giovane organaro.

Nel 1784, ben conscio delle proprie possibilità, pone termine alla collaborazione coi Ramasco. Per i Ramasco si tratta di una perdita gravissima, resa ancora più pesante dalla decisione di Giacinto Bruna (1764-1836) e di Stefano Bussetti (1766-?) di unirsi a Giovanni.
Già dalla analisi degli ultimi strumenti collocati coi Ramasco si possono notare alcune caratteristiche che saranno poi tipiche della produzione del Bruna: l'adozione del somiere "a vento", il maggiore e costante utilizzo di registri ad ancia, la disposizione in posizione "pettorale" del registro dell'Oboe.
Sin dai primi strumenti, le realizzazioni di Giovanni si contraddistinguono dal disegno fonico innovativo, sintesi delle maggiori scuole organarie, innestato sul consolidato modello settecentesco piemontese.
Dopo alcuni lavori effettuati nel natio Biellese, il Bruna decide presto di giocarsi la carta delle nume-rose conoscenze canavesane; proprio qui riuscirà a collocare le sue opere più significative, solo qui riuscirà in alcuni casi a fare concorrenza e addirittura a rivaleggiare i Serassi di Bergamo.
Verso il 1785 colloca l'interessante strumento della Confraternita del Gesù a Rivarolo (To), ma la vera svolta avviene nella costruzione dell'organo di San Martino C.se (To). Il progetto, redatto dal canonico Bonioti di Cuorgnè nella primavera del 1787, prevedeva - ad eccezione di un Oboe in "tola gialla" (ottone) - i tipici registri di uno strumento settecentesco piemontese: Ripieno fino alla XXIX, Flauto in VIII e XII, Cornetta a tre file e Voce umana. Alla firma della Capitolazione, il 15 luglio 1787, si registra l'aggiunta del "Fligioletto", ma è nel corso dei lavori, su sollecitazione del Bruna, che il di-segno fonico evolve: dapprima l'aggiunta del Flauto traverso, quindi la divisione del Principale in bassi e soprani, l'aggiunta del Tremolo e di due Putti con tromba sonante ai lati della facciata.

È interessante notare che esattamente nello stesso periodo, a una quindicina di chilometri da San Martino, Andrea Luigi Serassi lavorava alla collocazione dell'organo a due tastiere di Tavagnasco (To), prima opera canavesana degli organari bergamaschi.

SAN GILLO (TO) - Parrocchiale -

All'inizio degli anni '90, per far fronte alla crescente domanda proveniente dall'area canavesana - il Bruna - pur mantenendo il laboratorio di Miagliano, decide di aprirne un secondo a Piverone (To), in posizione sicuramente più baricentrica rispetto ai suoi interessi. Scelta senza dubbio favorita dall'amicizia, che col tempo si trasformerà in stretta collaborazione, con la famiglia Godone, minusieri e intagliatori piveronesi cresciuti nei laboratori eporediesi degli Argentero.
È l'inizio, per il Bruna, di un periodo davvero felice: piovono commissioni importanti e grandi realizzazioni, complici la ventata di novità portata dai Serassi, ma soprattutto l'innata capacità creativa e la non comune abilità di continua, tenace contrattazione con le fabbricerie in perenne competizione per la supremazia organaria.
Di questo periodo sono i grandi strumenti di Romano C.se (To), di Piverone (To) di Mathi (To), degli organi di Magnano (Bi), della confraternita di Corio (To), di Cafasse (To), di San Gillio (To) e tanti altri, collocati mentre erano in corso d'opera strumenti di maggiore mole come l'organo di Castellamonte (To) o quello di Chiaverano (To).
Un caso per tutti - quello dell'organo di Castellamonte - esemplifica al meglio la filosofia del Bruna di fronte a un progetto ambizioso; approccio che oggi non esiteremmo a definire disinvolto, più da arti-sta che da artigiano ... . La Capitolazione avviene il 20 gennaio 1791, il 28 agosto 1792 a un primo richiamo il Bruna si giustifica dicendo di avere pronto quasi tutto il materiale. Il 12 aprile 1793 la Confraternita del Corpus Domini - che aveva commissionato l'organo - intenta una causa all'organaro, sfociata nell'ingiunzione del 14 agosto 1793 di terminare lo strumento entro trenta giorni. I lavori tut-tavia proseguono, un ordinato datato 2 marzo 1799 tenta di fare un po' d'ordine tra modifiche e pa-gamenti; rispetto alla Capitolazione risultano aggiunti: 5 mantici, 46 canne d'ottone dei registri di O-boe e Viola e un generico "... ed altre aggiunte fatte al d° organo e non comprese in d° Scrittura ...". Dello strumento si conserva la disposizione fonica finale redatta dallo stesso organaro: 35 registri su un'unica tastiera, un Ripieno di 16 piedi composto da 16 file, 9 registri ad ancia.

Gli avvenimenti politici di fine secolo e le inevitabili ripercussioni economiche degli eventi legati prima alle guerre, poi alla riorganizzazione napoleonica non paiono turbare i Bruna più del necessario; proprio questi motivi, invece, produrranno un effetto catastrofico sulla famiglia Concone da sempre intimamente legata alle fortune di casa Savoia.

Nel 1801, in occasione di alcuni lavori di restauro all'organo di Mazzè (To), Giovanni ha modo di co-noscere l'organista Giuseppe Megnet di Chivasso - figura di spicco nel campo organistico-organario basso canavesano - la stima reciproca e il comune sentire produrranno negli anni una proficua collaborazione che culminerà nel grande progetto per Montanaro (To).
L'anno seguente inizia il monumentale organo di Alice Castello (Vc) secondo una prassi ormai con-solidata: apertura del laboratorio in loco, capillare ricerca dei materiali (alcuni provenienti da distanze considerevoli) pagati direttamente dalla fabbriceria e uno stillicidio di variazioni e modifiche fino a rendere irriconoscibile il progetto originale (alcune delle quali portate a termine a pochi giorni dal col-laudo). Degna di nota l'imponente facciata di 12 piedi con la canne minori magnificamente lavorate nella caratteristica forma a tortiglione. Alla conclusione dei lavori l'organo avrà ben 313 canne più del previsto!
Da questo perido, su tutti i documenti, Giovanni affianca al proprio nome quello del fratello Giacinto; è la legittimazione dell'esperienza acquisita, è il frutto di tanto lavoro e tanta dedizione.
Gli anni seguenti sono caratterizzati da molti lavori di restauro e ampliamento di organi settecente-schi ma soprattutto dalla ricollocazione di un considerevole numero di strumenti resi disponibili sul mercato dalle soppressioni napoleoniche.
Dobbiamo aspettare il 1807 e il progetto per l'organo di Montanaro (To) per rinnovare le imprese del decennio precedente. All'inizio del 1808 i Bruna trasferiscono a Montanaro il loro laboratorio e qui vi rimarranno per più di due anni. Lo strumento, dopo il consueto iter di casa Bruna, raggiunge la sua fisionomia definitiva nella primavera del 1810; in questo periodo (1809) collocano anche il piccolo organo di 8 registri nella adiacente chiesa di S.Marta.
L'organo di Montanaro contibuirà ad accrescere la fama dei Bruna; più volte citato, viene ricordato anche dal De Gregory nel 1824: "Bruna Giacinto ... e suo fratello Giovanni ... diligenti fabbricanti d'organi ad emulazione di quelli costrutti dal prete Serassi di Bergamo. Tra quelli più rinomati giova ricordare quei di Moncrivello, Saluggia e Montanaro, dove si vedono 24 angioli che colle loro trombe danno un piacevole accordo, che viene chiamato il concerto dei putti".
È opportuno ricordare che proprio nel 1810 Giuseppe Serassi è a Strambino (To) - una quindicina di chilometri da Montanaro - impegnanto alla collocazione della sua opera n. 14 (Cat. I).

Terminata l'esperienza montanarese le strade dei fratelli Bruna si dividono. Personalità forse troppo lontane per convivere in un rapporto paritario scelgono due diverse realtà: Giovanni continua la sua attività in Canavese, terra di grandi realizzazioni, disponibilità finanziarie e continui stimoli tra le fab-bricerie per l'eccellenza organaria; Giacinto sceglie la via di casa - il Biellese - caratterizzato da realizzazioni più modeste, disposizioni più essenziali per una realtà territoriale meno disposta a far follie, soprattutto dal punto di vista finanziario.
Personalità che ben si evincono dalla consultazione e dallo studio dei numerosi documenti conserva-ti sull'opera di Giovanni e Giacinto: estroso, creativo, innovatore, vero artista il primo, metodico, gran lavoratore ma artisticamente meno dotato, più tradizionalista e poco incline alle novità il secondo.

CUORGNE' (TO)

Nel 1812 iniziano i lavori per la costruzione del grande organo per la Collegiata di Cuorgnè (To), la-vori che si protrarranno fino al 1815; l'inspiegabile assoluta mancanza di documentazione non per-mette di ricostruire a fondo le vicende della lunga edificazione ne' il piano fonico che doveva - di cer-to - essere ragguardevole tanto da indurre il Casalis, nel 1836, a descriverlo come "... uno de' miglio-ri organi usciti dalla fabbrica dei fratelli Bruna". Quanto si conserva dello strumento, dopo la comple-ta ricostruzione del 1894, testimonia la grandiosità dell'opera: l'imponente facciata di 12 piedi a tre campate composta di ben 69 canne!
Dopo aver collocato l'organo di Bosconero (To), Giovanni - a sessantacinque anni - affronta la sua ultima grande opera: l'organo di Druento (To). Dello strumento, completamente ricostruito agli inizi del Novecento, ci resta l'imponente facciata di 12 piedi e il Contratto sottoscritto il 9 febbraio 1817. Tale documento prevedeva uno strumento di 16 piedi a due tastiere, munito di 46 registri (di cui 11 ad ancia) corrispondenti a circa 2100 canne. A completamento di una tavolozza fonica già ricca tro-viamo anche le "Trombe dritte da porsi parte in bocca dei puttini, e parte piantate orizzontalmente verso la chiesa, il tutto in lastra d'ottone, e divise in due tiri basso e soprano, in tutto canne 47". La realizzazione dello strumento, il cui costo finale arriverà a sfiorare le quindicimila lire, subisce il solito iter; il collaudo avverrà solo il 27 marzo 1825. Sull'atto viene annotato: "... l'organo costrutto dal sud° Giovanni Bruna il quale fu messo a totale compimento dalli fratelli Bruna Antonio, e Felice ambi figli del fù Giovanni ...". Giovanni quindi, era scomparso senza vedere compiuta la sua ultima opera.

Si chiude con la morte di Giovanni la parabola artistica che ha visto nel corso di un trentennio l'evoluzione dell'organo settecentesco piemontese verso gli orizzonti del gusto ottocentesco, una e-voluzione che ha sempre saputo e voluto essere personale, sintesi di un ideale fonico ben preciso e non sterile copia di modelli provenienti dall'esterno.

In questi ultimi anni è stato restituito all'originario disegno fonico uno dei suoi capolavori - l'organo di Alice Castello -; all'appello manca la sua opera più importante e meglio conservata: l'organo di Chiaverano.

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